Le origini
Il giudaismo e il cristianesimo nascente distinguevano gli spiriti buoni, fedeli a Dio, e i malvagi, capitanati da Satana; tra i primi ponevano non solo gli Angeli propriamente detti, con gli Arcangeli, ma anche i Cherubini e i Serafini, e tra i secondi i demoni che, identificati con gli dei del paganesimo (il quale adorava le forze della natura), vennero a identificarsi in qualche modo con gli spiriti creduti animatori degli astri e degli elementi. In san Paolo, Principati, Potestà, Virtù (I Corinzi, XV, 24 seg.) e Troni (Colossesi, I, 16), sono titoli degli Angeli in genere, buoni o cattivi; la teologia posteriore li restrinse ai buoni.
Da sant’ Agostino infatti si distinsero soltanto gli Angeli di Dio, in cielo, e i demoni di Satana, nell’inferno; per cui i nomi di Principati, Potestà, Virtù e Troni passarono a designare gli Spiriti Celesti. Ma sorse la questione della ragione di tali distinzioni e denominazioni nella Corte Celeste. Era una diversità di natura, ovvero, supposto che la natura di spirito sia la medesima in tutti, di merito, di funzione o di dignità, come pensarono, per esempio, Clemente Alessandrino e Origene? Per lungo tempo i Padri rimasero divisi e incerti; anche perché non si sapeva precisare in che consistesse questa diversità di natura e quante e quali fossero le diversità di ufficio. Inoltre, i testi biblici che si riferiscono alle gerarchie angeliche non hanno carattere sistematico. Per san Girolamo i Cori erano sette, mentre sant’Ambrogio e san Gregorio Magno organizzano diversamente l’ordine gerarchico.
Portò chiarezza ed ordine in questa lo pseudo Dionigi Areopagita (possiamo dire che mentre i nomi dei singoli Ordini angelici derivano dalla tradizione biblica, l’organizzazione gerarchica è il frutto in gran parte della sistemazione dionisiana) con il De Caelesti hyerarchia, al quale fa riscontro il De ecclesiastica hyerarchia. Da questo stesso si comprende come egli non concepisse la Gerarchia Celeste fondata sopra una diversità di natura tra gli spiriti, ma semplicemente, alla stessa guisa della gerarchia ecclesiastica, sopra la differenza del posto che essi occupano a seconda dell’ordine sacro di cui sono rivestiti, della scienza che posseggono e dall’azione che esercitano. Come cioè nella Chiesa la grazia e i doni di Dio si dispensano attraverso una scala discendente di tre gradini – l’episcopato, il presbiterio, il diaconato – così la pienezza della Vita e Luce Divina discende dal Cielo in Terra attraverso tre ordini, diviso ciascuno in tre gradi (nove in tutto), dei quali il più alto la riceve immediatamente da Dio, e ciascuno degli altri da quello che gli sta immediatamente sopra. Sono per ordine discendente: Serafini, Cherubini e Troni; Dominazioni, Virtù e Potestà; Principati, Arcangeli e Angeli. Questa teoria, i cui princìpi, come tutte le altre dello pseudo Dionigi, si ricollegano a quelli neoplatonici, specie da Proclo, fu portata in Occidente da S. Gregorio Magno; poi, quando gli scritti dell’Areopagita furono tradotti in latino da Scoto Eriugena, fu universalmente ricevuta nella scolastica e passò nel linguaggio comune della Chiesa.
Dionigi Areopagita
Gli scritti che vanno sotto il nome di Dionigi Areopagita, primo vescovo di Atene e discendente di san Paolo, a cui si accenna negli Atti (XVII, 34), dal Rinascimento in poi hanno dato luogo a laboriose discussioni. Essi sono ricordati la prima volta verso il 532 da Innocenzo, vescovo di Maronia, ma in occasione della grande conferenza religiosa tenutasi a Costantinopoli (533) per appianare la lotta fra ortodossi e severiani si cominciò a dubitare della loro autenticità per opera di Ipazio di Efeso. Invece papa Martino I li difese strenuamente come autentici e li introdusse in Occidente, e la loro fama si diffuse così rapidamente e stabilmente che specialmente per il commento che ne fece Massimo il Confessore, non si dubitò affatto, per tutto il Medioevo, del loro carattere apocrifo. Attribuiti a Dionigi sono i quattro trattati: De divinis nominibus, De theologia mystica, De caelesti hierarchia, De ecclesiastica hierarchia, e inoltre dieci lettere.
L’Areopagita distingue una teologia affermativa, la quale discende da Dio alle cose finite, e una teologia negativa, che, mediante un processo di negazioni, dalle cose finite sale a Dio. Così l’uomo sciolto e libero da tutte le cose di quaggiù entra in quella caligine veramente mistica dell’inconoscibilità, dove egli fuori da ogni apprensione scientifica non esiste più per sé, ma aderisce assolutamente a colui che è al di sopra di tutto. Di qui l’esaltazione dell’ignoranza mistica come la più alta conoscenza che si possa avere di Dio.
Nella sua opera più importante, quella sui Nomi divini, egli cerca di dimostrare che non è possibile la conoscenza delle scienze spirituali, e tanto meno di Dio, muovendo dalle cose sensibili. La dottrina su Dio è da ricercare nella Scrittura, la quale, peraltro, ci fornisce una conoscenza di Dio che si adatta soltanto alla nostra capacità intellettuale. Ma Dio in se stesso è imperscrutabile, tanto vero che a Lui possono convenire tutti i nomi e nessun nome. La divinità è dunque superiore a tutto, ed essa non è solo unità (monade) ma anche trinità (triade), ma non può essere da noi conosciuta, perché le stesse categorie di unità e trinità non sono capaci di esprimerla: Dio è il sopraente, il sopraunificante, il sopraessenziale.
Il primo attributo di Dio è la Bontà. Da essa derivano gli ordini e le funzioni degli Angeli, le anime e le loro facoltà e anche le cose animate e inanimate, in un sistema gerarchico degli esseri, che ha avuto un’enorme efficacia nella determinazione di taluni dogmi cattolici. La creazione divina è racchiusa dentro i limiti di una gerarchia fantasticamente architettata, ma dentro cui è però visibile il distendersi dell’unico principio divino, che contiene in sé tutti gli esseri.
Giacché il fine della gerarchia propriamente consiste nell’assimilazione e nella congiunzione, per quanto è possibile, con Dio. Gesù è al centro di questa deificazione, perché è posto in mezzo fra Dio trascendente e gli altri esseri. Le gerarchie, che costituiscono gli ordini degli esseri superiori all’uomo, sono distribuite in tre gruppi: Troni, Cherubini, Serafini; Signorie, Potenze, Autorità; Principati, Arcangeli, Angeli.
Inoltre, posto il concetto che Dio è tutto e abbraccia tutto, e che la sua vera essenza si esprime nel Bene, il quale per sua natura è diffusivo, l’Areopagita arriva alla conclusione che in Dio sono uniti anche tutti i contrari. Se Dio è tutto bene, e come tale abbraccia tutto, il male in quanto male non esiste, sicché: “tutte le cose, in quanto sono, sono bene e dal bene; in quanto sono prive del bene, non sono bene, né esistono”.
Dunque il male non si può dire che sia nelle cose o nella materia prima o nel corpo umano; la sua realtà, se di realtà si può parlare, è nella nostra volontà, la quale accidentalmente opera il male, ma in grazia del bene, cioè con la coscienza di compiere una cosa giusta. Questa conclusione chiarisce la soluzione di altri problemi teologici sulla provvidenza divina e sulla malvagità dei demoni. Dio conosce il male come difetto del bene o bene difettoso, e i demoni non sono cattivi per natura, ma sono cattivi per quello che non sono.
“Come specchi…”
Nel testo in greco di Dionigi, costituito da quindici brevi capitoli, per un totale di un’ottantina di pagine, leggiamo molte cose a proposito delle “beatissime gerarchie angeliche nelle quali il Padre ha generosamente manifestato la Sua luce e attraverso le quali noi possiamo elevarci fino al Suo assoluto splendore”.
Viene detto per esempio che gli appartenenti alle gerarchie sono come specchi trasparenti “adatti a ricevere il raggio di Luce del Principio divino, santamente ricolmi dello splendore a loro dovuto e a loro volta largamente risplendenti verso quelli che li seguono”.
E ancora: “Parlando di gerarchia, intendiamo un ordinamento sacro, immagine della bellezza del Principio divino, che ha la sacra funzione di portare a compimento… i misteri della sua propria illuminazione e che tende ad assimilarsi, per quanto gli è consentito, al proprio “Principio”, divenendo “collaboratore di Dio” e mostrando “come in se stesso, per quel che è possibile, si compie l’attività divina. (…) L’illuminazione del Principio divino si compie dapprima nelle gerarchie celesti, ed è poi da esse che vengono a noi trasmesse le rivelazioni superiori”.
L’autore sembra anche sottintendere che sta parlando di esperienze personali: dice spesso io vedo che gli angeli, alludendo così a vere e proprie visioni che gli avrebbero permesso di conoscere l’ordinamento angelico.
La mediazione
Dionigi l’Areopagita così continua:Io vedo che gli Angeli furono per primi iniziati al divino mistero dell’amore di Gesù per gli uomini, e che in seguito per opera loro venne a noi la grazia della conoscenza. Fu così che il divino Gabriele rivelò in segreto al sommo sacerdote Zaccaria che il bambino che sarebbe nato da lui, contro ogni speranza e per grazia divina, sarebbe stato un profeta dell’opera divina e umana di Gesù, il quale sarebbe apparso al mondo come benefico salvatore; e fu così che Gabriele rivelò in segreto a Maria come in lei si sarebbe compiuto il mistero del Principio, riguardo all’ineffabile incarnazione divina.
Un altro Angelo comunicò a Giuseppe come in verità si fossero compiute le divine promesse fatte al suo avo Davide; un altro ancora diede la buona novella ai pastori in quanto essi si erano purificati con la loro vita di isolamento e di quiete, e con lui “la moltitudine dell’esercito celeste”, che trasmise quel celebre inno di lode agli abitanti della terra. Ma mi innalzerò anche alle più alte illuminazioni dei Loghia (nota: ciò che è stato detto da Dio nel corso dei tempi e tramandato dai testi sacri): io vedo infatti che lo stesso Gesù, causa sovressenziale delle entità celesti, giunto fino a noi rimanendo immutabile, non si sottrae al buon disegno, stabilito e scelto da Lui secondo la convenienza umana, ma si sottomette docilmente ai voleri di Dio Padre, trasmesso attraverso gli Angeli, con la cui mediazione viene anche annunciata a Giuseppe la ritirata in Egitto del Figlio, disposta dal Padre, e in seguito il trasferimento dall’Egitto in Giudea.
E’ perciò per mediazione degli Angeli che noi Lo vediamo sottomettersi alle leggi del Padre. Tralascio di dire, a te che lo sai (nota: Dionigi indirizza il suo libro al “confratello Timoteo”), tutto ciò che ci è stato rivelato dalle tradizioni sacerdotali circa l’Angelo che confortò Gesù, o il fatto che lo stesso Gesù, entrato nell’ordine rivelatore per la sua benefica opera salvatrice, fu proclamato “Angelo del gran consiglio”. Ed è proprio così, perché Egli stesso dice, nel modo proprio degli Angeli, di annunziarci tutte le cose che ha udito dal padre.
I Nomi
Quanto alle gerarchie celesti vere e proprie, Dionigi afferma di ritenere che “lo sappia con esattezza solo il loro divino Principio iniziatore. (…) Noi non diremo nulla che venga solo da noi, ma esporremo, secondo le nostre capacità, quelle visioni celesti che furono contemplate dai santi conoscitori del Divino e a cui anche noi siamo stati iniziati”.
Nove sono gli ordini delle entità celesti, a loro volta suddivisi in tre ordini maggiori: il primo è quello che è sempre presso Dio e comprende i santi Troni e le loro corti “dai molti occhi e dalle molte ali”, cioè Cherubini e Serafini. Il secondo ordine comprende Potestà, Dominazioni e Virtù; il terzo gli Angeli, gli Arcangeli e i Principati. Ogni nome delle Intelligenze celesti indica il carattere divino proprio ad ognuna.Di seguito, riportiamo il testo di Dionigi nella traduzione di G. Burrini (Roma, 1981).
Serafini, Cherubini, Troni
Il santo nome dei Serafini significa sia “coloro che bruciano” sia “coloro che riscaldano”, e quello dei Cherubini significa “pienezza di conoscenza” o “effusione di saggezza”. Il nome Troni sta ad indicare la vicinanza al trono divino, quindi entità altissime che siedono immediatamente accanto a Dio e ricevono in maniera diretta e immediata le perfezioni e le conoscenze divine. (…)
(Quanto al nome dei Serafini esso ci rivela) il loro continuo ed incessante movimento attorno alle realtà divine, il calore, l’ardore, il ribollire di questo eterno movimento continuo, stabile e fermo, la capacità di rendere simili a se stessi i subordinati, elevandoli energicamente, facendoli ribollire ed infiammare fino ad un calore uguale al loro, il potere catartico simile alla folgore, la natura luminosa e risplendente che mai si occulta e che è inestinguibile, fugatrice di ogni tetra oscurità.
Quanto al nome dei Cherubini, esso ci rivela il loro potere di conoscere e di contemplare la Divinità, la loro attitudine a ricevere il dono di luce più alto e a contemplare la dignità del Principio divino nella sua potenza originaria, la loro capacità di riempirsi del dono della saggezza e di comunicarlo, senza invidia, a quelli del secondo ordine…
Quanto al nome di Troni, spiriti molto alti e sublimi, esso ci indica che questi trascendono in modo puro ogni vile inclinazione, che si elevano verso la vetta in modo ultraterreno, che fermamente si ritraggono da ogni bassezza, che siedono totalmente, in modo saldo e ben fondato, attorno a Colui che è veramente l’Altissimo, che accolgono ciò che discende dal Principio divino con una calma tutta immateriale, e infine che sono portatori del Divino, premurosamente aperti a ricevere le Sue donazioni.
Dominazioni, Virtù, Potestà
Io credo che il nome rivelatore delle sante Dominazioni ci indichi la loro forza di elevarsi, che mai si sottomette, libera da ogni inferiore cedimento; esse non si abbassano assolutamente a nessuna realtà discordante e tirannica, superano… ogni degradante asservimento…, entrano il più possibile in comunione con l’eterna divinità del Principio della Dominazione.
Il nome delle sante Virtù significa coraggio saldo e intrepidità in tutte le attività, un coraggio che mai si stanca di accogliere le illuminazioni donate dal Principio divino, che è anzi potentemente teso all’imitazione di Dio…
Quanto al nome delle sante Potestà, esso ci rivela la loro parità di grado condivisa con le divine Dominazioni e con le Virtù, la disposizione molto armoniosa nell’accogliere i doni divini, il carattere di potenza ultraterrena e intelligente, che non abusa tirannicamente delle sue potenti forze, volgendole al peggio, ma che si eleva ed eleva con bontà i subordinati verso le realtà divine, e che tende ad assimilarsi al Principio della Potestà, fonte di ogni potestà, che Lo riflette, per quanto è possibili agli Angeli…
Principati, Arcangeli, Angeli
Il nome dei Principati ci indica che essi possiedono un carattere divinamente sovrano e un potere di comando, entro un ordine sacro che è il più consono a delle potenze sovrane; che si modellano il più possibile su quello stesso Principio, fonte di ogni altro principio; e infine che essi, con il buon ordinamento delle loro potenze sovrane, Lo esprimono come Principio ordinatore sovressenziale…
Il santo ordine degli Arcangeli, per la sua posizione centrale nella gerarchia, partecipa ugualmente degli estremi. Infatti è affine ai santissimi Principati ed è affine agli Angeli… in quanto riceve gerarchicamente le illuminazioni del Principio divino attraverso le potenze primarie e le annuncia benevolmente agli Angeli, e tramite gli Angeli le manifesta a noi, in proporzione alle sante attitudini di coloro che vengono divinamente illuminati.
Con gli Angeli, come abbiamo detto, terminano e si completano tutti gli ordini delle Intelligenze celesti, perché essi, da ultimi fra le entità celesti, possiedono il carattere di messaggeri e sono più vicini a noi; perciò più ad essi che ai precedenti è appropriato il nome di Angeli, in quanto la loro gerarchia si occupa di ciò che è più manifesto e, ancor più, delle cose di questo mondo… Per questo la Scienza divina ha affidato agli Angeli la nostra gerarchia, designando Michele principe del popolo ebraico, e chiamando anche altri Angeli a presiedere sui vari popoli. Difatti l’Altissimo “stabilì i confini dei popoli secondo il numero degli Angeli di Dio” (Deut. 32, 8).
L’Armonia sovressenziale
Le Intelligenze celesti sono tutte rivelatrici e messaggere di chi le precede: quelle più degne lo sono di Dio che le muove, mentre le altre, a misura delle loro forze, lo sono delle entità che vengono mosse da Dio.
L’Armonia sovressenziale di tutte le cose ha difatti così ben provveduto alla regolare elevazione e alla santa ed armoniosa disposizione di ciascun essere razionale ed intelligente che ha ripartito ogni gerarchia in ordini sacri, per cui noi vediamo tutta la gerarchia divisa in potenze primarie, intermedie ed ultime; ma, a dire il vero, Essa ha suddiviso anche ogni ordinamento secondo gli stessi rapporti divini. Perciò i conoscitori del Divino dichiarano che gli stessi altissimi Serafini “gridavano l’uno all’altro” (Isaia 6, 3) per dimostrare con ciò chiaramente, a mio avviso, che essi per primi trasmettevano agli altri le conoscenze che hanno sul Divino.
A mio parere c’è ancora una cosa che merita un’intelligente riflessione: la tradizione dei Loghia dice degli Angeli che essi sono “mille migliaia” e “diecimila miriadi” (Daniele 7, 10. Apocalisse 5, 11 e 9, 16) – ripetendo per essi e moltiplicando i numeri più alti che noi usiamo – con l’intenzione di rivelarci chiaramente, con ciò, che gli ordini delle entità celesti sono per noi incalcolabili. Molti difatti sono i beati eserciti delle Intelligenze ultraterrene, superiori alla nostra debole e limitata numerazione materiale, e definiti compiutamente solo dal loro pensiero e dal loro sapere ultraterreno e celeste, ad essi felicemente donato dal Principio divino onnisciente e fonte di saggezza, parimenti Principio sovressenziale, Causa creatrice di essenza, Potenza e Termine che comprende ed abbraccia tutti gli esseri.
Sant’Agostino e san Tommaso d’Aquino
Sant’Agostino così commenta la questione riguardante le gerarchie angeliche:
Come sia composta quella società suprema, e quali siano le differenze gerarchiche, così da permettere, nonostante il comune nome di angeli, l’esistenza anche di Arcangeli, e se gli Arcangeli si chiamino anche Virtù e in che rapporti stiano tra loro quei quattro termini con cui l’apostolo Paolo sembra voler abbracciare tutta la suddetta società dei celesti, dicano pure quelli che possono dirlo, se però possono provare quello che dicono; io per me confesso di ignorarlo (Enchiridion, 58).
Nel tardo medioevo, Tommaso d’Aquino scrive nella sua Summa Theologica:
Circa i soggetti, occorre distinguere i gruppi gerarchici in quanto ricevono in maniera non uguale gli ordini del Principe, come può avvenire nelle città sottomesse ad un unico sovrano, anche se abbiano ricevuto legislazioni diverse. Gli Angeli dotati di una intelligenza più o meno possente conoscono le leggi divine in maniera diversa. E’ questo il fattore principale su cui si fonda la varietà gerarchica in essi. La Prima Gerarchia conosce e apprezza queste leggi come procedenti da un Principio Universale, che è Dio. La seconda le coglie come dipendenti da cause universali create, che sono già più o meno numerose. La terza gerarchia le coglie come sono applicate a ciascun essere e dipendenti da cause particolari. La distinzione degli Angeli in gerarchie e ordini si poggia non tanto sui doni naturali della loro essenza specifica, quanto sul grado della loro elevazione soprannaturale e sulla visione intuitiva che Dio ha loro concesso dopo che ebbero superato la prova, un pelago senza limiti e fondo di beatitudine in cui, con diversa profondità, si immerge la loro estasi.Quanto alla possibilità degli umani di guadagnare l’accesso alle Gerarchie Celesti, “gli uomini possono sì entrare nei diversi ordini degli Angeli, ma non assumendo la loro natura, pur meritando in Cielo una Gloria che li eguaglia all’uno o all’altro dei Cori Angelici”.
L’opera angelica
Possiamo dunque intendere le Gerarchie Angeliche come i tramiti o i veicoli dell’emanazione del Pensiero Divino Creatore verso la manifestazione fisica del Creato. Le schiere angeliche operano lungo il percorso della Creazione secondo il loro grado di Conoscenza e la loro Funzione: operano dal momento in cui la Volontà Divina “decide” fino alla manifestazione fisica di tale Volontà, secondo le Leggi a cui essi (e il Tutto) sono sottoposti. Ogni singolo Coro e Ordine riceve dal livello superiore ed emana al livello inferiore quanto tali Leggi consentono: ciò permette alfine all’elemento creato di assumere una propria identità e caratteristiche proprie. Dai Serafini agli Angeli assistiamo dunque alla “solidificazione” della Volontà Creatrice: i primi ne saranno Puro Specchio, i secondi Custodi e Costruttori a livello fisico.
Serafini – Il loro nome significa Ardenti. Sono statici conservatori dell’energia divina increata; pur non conoscendo quella che sarà la Volontà Creatrice, essi reggono fra le loro mani l’energia primordiale e la rendono disponibile nel momento in cui dovrà canalizzarsi per manifestarsi.
Cherubini – Il loro nome significa Colui che prega. Ricevono l’onda del Pensiero Divino, e l’energia per realizzarlo, direttamente dai Serafini. Costituiscono l’elemento dinamico: in base al Progetto, distribuiscono e organizzano le leggi e le strutture dell’energia divina emanata. Per tale motivo, li conosciamo quali guardiani dell’Arca dell’Alleanza e della Porta del Paradiso.
Troni – Portatori della Giustizia di Dio, sovrintendono alla corretta collocazione nello spazio e nel tempo dell’elemento creato.
Dominazioni – Stabiliscono i confini entro i quali l’elemento creato potrà agire, nel pieno rispetto delle leggi statiche e dinamiche che i Cherubini hanno stabilito in precedenza. Confini entro cui la nuova creazione potrà muoversi interagendo con gli altri elementi creati, secondo un principio di generale armonia e in ottemperanza alle leggi universali.
Virtù – Dispensatori di Grazia, definiscono l’archetipo, in termini di qualità specifiche, dell’elemento creato. Stabiliscono pertanto le caratteristiche proprie dell’elemento: attribuiscono la forma, il colore, la dimensione, il profumo, la temperatura. Da questo momento in poi l’elemento è pronto per scendere nei piani della materia, manifestandosi, sia esso un fiore o una galassia.
Potenze o Potestà – Caricano l’elemento creato dell’energia vitale più adatta alla sua specie. Praticamente formano i suoi corpi sottili, infondono il “prana”, modellano l’aura che permetterà l’espressione del Sé e difendono dall’attività eversiva delle forze maligne.
Principati – Sono i protettori delle manifestazioni religiose e di culto che stabiliscono e conservano i legami tra creature e Creatore; costituiscono il ponte tra la manifestazione materiale e l’essenza spirituale.
Arcangeli – Custodiscono gli archetipi dello specifico elemento creato, collocato all’interno di una specie. Sovrintendono direttamente all’attività degli Angeli posti a custodia di ogni singolo elemento. Il termine Arcangelo è composto e deriva dal greco essere a capo e messaggero.Angeli – Sono i Custodi delle singole entità, siano queste esseri umani, appartenenti ai regni vegetale e minerale, oppure oggetti costruiti dall’uomo. Inoltre sono i Costruttori delle forme all’interno dei quattro elementi e dell’etere cosmico che li contiene. In pratica, si occupano di mantenere correttamente saldo nella materia il Progetto Divino lasciando all’Uomo la possibilità, tramite il libero arbitrio, di far progredire ed evolvere tale Progetto. La categoria degli Angeli è dunque quella più vicina agli esseri umani ed opera direttamente sulla loro natura energetica.
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